Oggi scrivo in italiano – la mia lingua madre – perché è in italiano che ho letto “Americanah” il romanzo di Chimamanda Ngozi Adichie.
Americanah è un romanzo del 2013 dell’autrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, per il quale Adichie ha vinto nel 2013 il National Book Critics Circle Award degli Stati Uniti per la narrativa.
La verità è che Americanah mi è piaciuto un sacco. Ecco perché.

La trama di Americanah in breve
Lagos, metà degli anni Novanta. Sullo sfondo di una dittatura militare e in una Nigeria che offre quello che pare un misero se non inesistente futuro, Ifemelu e Obinze, due adolescenti atipici, si innamorano perdutamente.
Come gran parte dei giovani della loro generazione, sanno che prima o poi dovranno lasciare il paese. Obinze ha sempre sognato di vivere negli Stati Uniti, ma è Ifemelu che ottiene il visto per vivere con sua zia a Brooklyn e studiare all’università.
Mentre Obinze combatte attraverso la burocrazia per ricongiungersi con Ifemelu, lei si ritrova in un’America in cui nulla è come immaginava.
A cominciare dall’importanza del colore della sua pelle.
Tutte le sue esperienze, sfide e avventure portano a un’unica domanda: finirà per diventare una “americana”? Per perdere l’accento nigeriano e amalgamarsi in un paese che si, è casa di varie etnie, ma che resta principalmente e fondamentalmente bianca?
Americanah, che riprende il termine derisorio che i nigeriani usano per riferirsi a coloro che tornano dagli Stati Uniti dandosi arie, è una storia d’ amore attraverso tre decenni e tre continenti. Ma è soprattutto il racconto di come si crea un’identità al di fuori dei dettami della (o delle?) società e dei suoi pregiudizi.

Americanah è una storia sull’attualità di vivere oggi in Nigeria, come appartenente ad una classe privilegiata, e di vivere in America come l’outsider, il diverso – l’altro. Anzi, l’altra.
Americanah mi è piaciuto molto. L’ho trovato un libro sfavillante, e che mantiene tale brillantezza nel raccontare anche i temi più spinosi. Come quello della razza.
Ascoltare il discorso sulla razza di Lorena Cesarini alla seconda serata di Sanremo, il festival della canzone italiana, mi ha fatto venire i brividi. Mi ha fatto sentire a disagio. Perchè alle persone di colore viene data la parola (o se prendono loro?) solo per parlare di razza? Ognuno ha la sua voce e se quella di Cesarini mi è sembrata intrisa di un triste vittimismo, quella di Adichie rimbomba con maestosa potenza.
“La Nigeria diventò il luogo in cui lei avrebbe dovuto essere, l’unico posto dove avrebbe potuto affondare le radici senza il bisogno costante di tirarle fuori e scrollare via la terra.”
Seppur senza mai menzionarla, Adichie parla di intersezionalità.
Termine coniato da Kimberle Crenshaw circa trent’anni fa, “internazionalità” è una lente attraverso la quale guardare al potere, osservare da dove e fin dove arriva il potere, e dove si scontra, dove si incastra e si interseca. Intersezionalità significa parlare non solo di razza, o di etnia, ma anche di genere, di classe e di identità tout-court.
Adichie secondo me lo fa con schiettezza, ma anche con sensibilità e delicatezza. La sua voce è inclusiva. Permette anche a lettrici bianche europee come me, di leggere di razza seppur dal loro piedistallo imbevuto di privilegio.
Perchè attenzione, se sono bianca e parlo di razza, secondo me mi approprio di un concetto che non mi appartiene e che mai mi apparterrà direttamente – e che posso solo vedere da fuori. Da outsider. Abuso di un potere che ho e che sono consapevole di avere.
Ascoltare Ifemelu parlare di razza, per è stato come guardare al concetto di razza dal buco della serratura.
Durante i miei anni di vita a Bruxelles, ho vissuto con due persone dalla pelle nera. Ricordo che un giorno, uscendo dalla mia stanza, ho visto una di loro in bagno, pettinarsi dopo la doccia. Osservarla districare i capelli con una delicata veemenza, con le dita unte di unguento, mi ha lasciato sbalordita. “Lavare i capelli per me è complicato. Lo faccio una volta ogni due settimane perchè devo avere varie ore a disposizione per farlo. E’ un processo. Anzi, un rituale”.
Ricordo di aver toccato i miei di capelli, e di aver capito l’essenza del mio privilegio in un istante.
Adichie parla di capelli. Parla di pelle e di occhi, di sfumature e di colori. E imparando a conoscere Ifemelu, ho sentito di conoscere un po’ meglio anche me stessa. Ciò che sono e che non sono.
Ascoltare voci polifoniche femminili che raccontano la razza “da dentro” non è solo importante, è fondamentale. Dovremmo iniziare a farlo fin dai banchi di scuola. Possiamo cominciare proprio da Chimamanda Ngozi Adichie.

Ecco le frasi più belle di Americanah
Aveva il cemento dell’anima. Era lì già da un po’ di tempo, un malessere mattutino fatto di stanchezza, malinconia e senso di non appartenenza. E si portava dietro amorfi struggimenti, informi desideri, brevi barlumi immaginari di altre vite che avrebbero potuto vivere, tutte cose che mese dopo mese erano confluite in una lancinante nostalgia.”
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
Scese dalla macchina. Aveva il passo rigido e faticava a sollevare le gambe. Negli ultimi mesi aveva cominciato a sentirsi sazio di quanto aveva acquistato – famiglia, case, auto, conti in banca – e ogni tanto era colto dalla tentazione di prendere un spillo e bucare tutto, sgonfiare tutto, per essere libero. Non sapeva più, e in realtà non aveva mai saputo, se la sua vita gli piacesse sul serio o se gli piacesse perché era così che doveva essere.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
-Ho parlato con Akunne per un prestito, – disse suo padre.
(…)
-Che ti ha detto?
-Mi ha detto di andare a trovarlo venerdì prossimo -.
Gli tremavano le dita; sembrava che lottasse per soffocare l’emozione. Ifemelu distolse in fretta lo sguardo, sperando che non si fosse accorto che lei lo guardava, e gli chiese di spiegarle un quesito difficile nei compiti. Per distrarlo, per fagli sentire che la vita poteva riprendere a fluire.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
Ed ebbe all’improvviso la sensazione di trovarsi immersa nella nebbia, invischiata in una ragnatela lattiginosa. Era iniziato un autunno di semicecità, l’autunno dello sconcerto, di esperienze fatte sapendo che c’erano scivolosi strati di significato che le sfuggivano.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
A Lagos l’harmattan era un velo di foschia, ma a Nsukka era una presenza furiosa, mercuriale; i mattini erano frizzanti, i pomeriggi cenerei di calura e le notti sconosciute. Mulinelli di polvere si alzavano in lontananza, belli da guardare finché erano distanti e turbinavano fino a rivestire tutto di marrone. Persino le ciglia.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
La terrorizzava non sentirsi in grado di visualizzare il proprio domani. […] Essere là, vivere all’estero senza sapere quando sarebbe tornata a casa, era come guardare l’amore che diventava ansia.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
A lei piaceva che lui indossasse la loro relazione con spavalderia, come una camicia dai colori sgargianti. A volte tutta quella felicità la preoccupava.
Allora sprofondava nella malinconia e trattava male Obinze, o lo teneva a distanza. E la sua gioia diventava una cosa inquieta, che le sbatteva le ali dentro come se cercasse un’uscita per volar via.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
Alexa e gli altri ospiti, e forse anche Georgina, capivano tutti la fuga dalla guerra, dal tipo di povertà che distruggeva l’animo umano, ma non avrebbero capito il bisogno di scappare dalla opprimente letargia dell’assenza di scelta.
Non avrebbero capito perchè persone come lui, cresciute con cibo e acqua abbondanti ma impantanate nell’insoddisfazione, abituate fin dalla nascita a guardare altrove, da sempre convinte che la vita vera fosse altrove, ora fossero decise a fare cose pericolose, illegali, come partire; nessuno di loro moriva di fame, o subiva violenze, o veniva da villaggi bruciati, ma aveva semplicemente sete di scelte, di certezze.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
-La soluzione più semplice al problema della razza in America? L’amore romantico – lesse. -Non l’amicizia. Non quel tipo di amore sicuro e vuoto il cui obiettivo è che entrambe le persone siano a loro agio. Ma piuttosto il vero amore romantico e profondo, quel tipo di amore che ti spiega e ti contorce e ti fa respirare con le narici della persona amata.
E siccome l’amore romantico e profondo e cosi raro, e siccome la società americana è fatta in modo da renderlo ancora più raro tra neri americani e bianchi americani, il problema della razza in America non si risolverà mai.
-Oh, che storia meravigliosa,-disse la padrona di casa francese, col palmo della mano piazzato sul petto in una posa teatrale guardandosi intorno come a cercare una reazione.
Ma tutti gli altri rimasero in silenzio, gli sguardi insicuri e rivolti altrove.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
Nel grigiore dell’oscurità della sera, l’aria carica di odori, provò un’emozione quasi insopportabile a cui non seppe dare un nome. Provò nostalgia e malinconia, una tristezza bella per le cose che erano mancate e per le cose che non avrebbe mai conosciuto.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
Lei appoggiò la testa alla sua e provò per la prima volta quello che avrebbe spesso provato con lui: l’amore di sé. Attraverso lui apprezzava se stessa. Con lui si sentiva a proprio agio; si sentiva la pelle della taglia giusta.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
Lui (Blane) diventò un volontario per la campagna di Obama e e Ifemelu assorbì tutte le storie delle persone dietro le porte a cui aveva bussato.
Un giorno Blane tornò a casa e le raccontò di un’anziana signora nera, col viso raggrinzito come una prugna secca, che, aggrappata alla porta per non cadere, gli aveva detto: -Non pensavo che sarebbe successo, nemmeno nel corso della vita del mio nipotino.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie
All’inizio Lagos l’aggredì; la fretta stordita dal sole, gli autobus gialli pieni di membra pressate, gli ambulanti sudati che correvano dietro alle macchine, gli annunci pubblicitari su enormi cartelloni e i mucchi di immondizia che spuntavano irridenti ai margini delle strade.
La grancassa del commercio batteva spavalda. E l’aria era un concentrato di iperboli, di conversazioni piene di enfatiche rimostranze. Una mattina il corpo di un uomo giaceva disteso in Awolowo Road. Un’altra mattina, l’Isola si era allagata trasformando le auto in barche boccheggianti.
Lì, pensò, poteva succedere di tutto, dalla soida pietra sarebbe potuto spuntare un pomodoro maturo. E quindi provava la sensazione vertiginosa di cadere, cadere nella persona nuova che era diventata, cadere nel familiare estraneo.
Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie